In memoria del professore Kurt Pardatscher
22/07/2024A.I. nella realtà clinica neuroradiologica italiana | Sondaggio sponsorizzato da AINR
09/09/2024Ci ho messo del tempo ma poi ci sono riuscito.
La perdita di un altro grande amico mi aveva annichilito, aveva prosciugato il dire, aveva imposto il suo silenzio assordante. In una notte afosa che tardava a finire, a cavallo di un’alba che faticava ad imporsi, me lo sono visto lá, Federico che mi sorrideva, Federico che si ravviava i capelli, Federico che mi guardava inclinando il capo da un lato arrotando le sue erre e prolungando il suo racconto. E i ricordi sono affluiti tanti, senza rispettare il tempo gli anni i luoghi, ed io senza cercare la precisione ma affogando nei sentimenti nelle lacrime nei sorrisi nelle emozioni. Perché Federico era sempre là a raccontarmi, a insegnarmi l’arte del suo vivere: signorile colto pacato, senza le virgole che avrebbero distinto il suo essere che fluiva pieno completo sussurrante.
Un giorno seduti vicino ad un camino mi disse: sai, tu metti un introduttore nell’arteria femorale e poi hai tutto il tempo di fumarti una sigaretta e di pensare alla tua strategia di procedura. Non era solo un racconto medico, era un fruscio di un pensiero positivo che invitava a non avere fretta nella vita, a saper scegliere i momenti di attesa, a godersi il tempo che passa perché porta fiato e respiri profondi.
Sai, mi diceva, quando stavo a Bologna con Ruggiero lui mi ricordava che il mio orario di servizio finiva alle 14, poi mi diceva ci vediamo in studio alle 14 e mi raccomando sia puntuale. E io pensavo: come farò ad attraversare una città senza avere il tempo per farlo. E quando arrivavo là trafelato con i capelli scomposti (ah Federico quei tuoi capelli sempre ondeggianti e fluenti…) mi guardava di sottecchi non permettendomi di accampare giustificazioni. Lui era così, mi diceva bonario e giustificativo assolvendo Ruggiero.
Un’altra volta eravamo una mattina intorno ad un tavolo di colazione e lui aveva imbastito uno scherzo feroce nei confronti di Paolo Tortori e miei. Aveva come spalla Giancarlo Dal Pozzo. E Sossio sapeva. E lo scherzo duró tanto, ma lui fu capace col suo gran ridere di annacquare l’imbarazzo e travolgere tutti in una risata collettiva. Lo scherzo ce lo saremmo riraccontato tante volte sempre con la stessa giocosità e la stessa gioia.
Una volta atterrai a Milano e avevo appuntamento con lui che mi passava prendere in auto (una delle sue famose auto…) per raggiungere gli altri del Club Primavera in montagna. I tornanti non finivano mai e lui pigiava sull’acceleratore e io ripetevo tra me e me? ad alta voce? la frase di Massimo Troisi in un film: “Andate piano….”. Io ero seduto dietro e lui chiacchierava e mi raccontava e distogliendosi dal volante girava la testa e mi guardava, e mi inondava di fatti, e rideva, ed io alla fine con lui, rassegnato, ridevo.
La sauna in montagna era il suo buen retiro e raggiungeva Giancarlo e me. Ma il tempo passava tra chiacchiere aneddoti e considerazioni e stava per giungere il tempo di cominciare la seduta scientifica e lui si alzava e trafelato ancora rosso di calore vestendosi sul corpo che ancora emanava calore andava ad aprire la sessione. Giancarlo ed io arrivavamo buon ultimi, redarguiti dallo sguardo di Marco Leonardi e rassicurati dall’espressione complice di Federico.
Seduta d’apertura del congresso europeo di Neuroradiologia, Federico relatore presenta una relazione scientifica accurata e ben sostenuta da dati scientifici sperimentali e da cospicua bibliografia sul Neutrino (?). Non ricordo bene, ma col tempo che passa mi rimangono le emozioni degli eventi non la dovizia del particolare, sono figlio di Garcia Marquez: chi lo ricorda meglio mi corregga.
Noi a bocca aperta stupiti ascoltavamo il dipanare scientifico di un argomento presentato con accuratezza da Federico, per poi scoprire ma solo alla fine che era un geniale stupefacente impensabile scherzo. Lui era così. Inarrivabile.
Vi ho parlato della sua grandezza di Amico, tralasciando il suo cursus honorum da tutti ben conosciuto.
Ma per me è bello lasciare che la mente e i ricordi corrano per i Campi Elisi ricordando il grande Uomo nascosto nelle pieghe della vita quotidiana che a me ora piangente ha lasciato tanti momenti belli in questa mia vita parallela di Neuroradiologia che più passa il tempo e più mi fa render conto della fortuna ad incontrarlo e a incontrarvi che ho avuto.
Lo voglio ricordare così.
Mino Andreula