
Federico Zappoli – Il ricordo di Mino Andreula
06/09/2024
001 | Convocazione Soci per Assemblea Ordinaria AINR 2024
16/09/2024
Roma, 23 ottobre 2024
Cari tutti,
abbiamo discusso, a lungo e in più occasioni all’interno del Consiglio Direttivo, sullo sviluppo da un lato e sulle difficoltà dall’altro dell’attività di Neuroradiologia Interventistica in Italia.
Sandra Bracco, Responsabile della specifica Sezione, ha in conclusione sintetizzato la situazione attuale in una lettera ampiamente condivisa, che pongo alla vostra attenzione, con l’obiettivo finale di consolidare le basi per un percorso formativo che sia efficace, condivisibile e adeguato agli standard esistenti.Il Presidente AINR
Ferdinando Caranci
Il recente contributo del Prof. Cenzato pubblicato sul sito della Società Italiana di Neurochirurgia ha generato pareri difformi e determinato riflessioni contrastanti nel mondo neuroradiologico interventistico, che ho cercato di riassumere in questa lettera, approfondendo alcuni punti che ho potuto constatare maggiormente condivisi e più condivisibili.
La nascita della neuroradiologia interventistica moderna si colloca nei primi anni novanta, oltre 30 anni fa, grazie alla messa a punto da parte di un neurochirurgo italiano, il Dott. Guido Guglielmi, delle spirali in platino a distacco controllato per il trattamento endovascolare degli aneurismi cerebrali. Sebbene l’esigenza di un approccio meno invasivo al trattamento degli aneurismi sia stata inizialmente sentita e felicemente sviluppata da un neurochirurgo, l’ulteriore evoluzione e la crescita esponenziale della disciplina si deve ai neuroradiologi che, in virtù della vocazione endovascolare e clinico-interventistica, ne hanno intuito le potenzialità e il valore rivoluzionario. Sostenuti dal progresso della tecnologia nell’ambito delle grandi apparecchiature radiologiche digitali e dei materiali endovascolari, i neuroradiologi interventisti hanno progressivamente esplorato nuove vie, con spirito inizialmente pionieristico e successivamente sempre più saldo, portando il mondo endovascolare ai livelli attuali. Il percorso di crescita è stato sempre all’insegna del confronto con i neurochirurghi, storicamente depositari dei trattamenti vascolari cerebrali. La presenza di una branca radiologica non generalista ma specialista d’organo, quale è la neuroradiologia, culturalmente strettamente connessa con neurochirurghi e neurologi, ha permesso ai neuroradiologi di possedere le necessarie basi di conoscenza diagnostica, clinica ed endovascolare per evolvere nella crescita. Questo distingue i neuroradiologi da altre discipline affini della medicina, quale la cardiologia o la chirurgia vascolare, in cui il clinico di riferimento ha potuto far prevalere le proprie competenze in settori appannaggio della radiologia interventistica. E’ comunque innegabile che una buona parte di quanto di meglio accaduto abbia visto la collaborazione, ed in molti casi anche il sostegno, dei clinici specialisti, anch’essi spesso da annoverare tra i bravi maestri.
La fase pionieristica, brillantemente interpretata dai nostri maestri, da tempo possiamo ritenerla conclusa, avendo formato operatori capaci e avendo prodotto centri di riferimento di neuroradiologia interventistica, diffusamente rappresentati sul territorio nazionale, che operano secondo forti evidenze scientifiche, facendo formazione e ricerca. I centri di neuroradiologia interventistica sono cresciuti negli anni, allargando il proprio operato verso patologie otoiatriche, maxillo-facciali e ortopediche, in ambito malformativo, oncologico e degenerativo, per l’adulto e per il mondo pediatrico. Sono notoriamente emerse le tecniche endovascolari per lo stroke acuto ma si sono consolidate anche quelle per la prevenzione secondaria, come lo stenting carotideo ed intracranico. E’ quindi riduttivo pensare al mestiere di neuro-interventista come ad un mero operatore rivolto al solo stroke e agli aneurismi. Il bagaglio culturale necessario per fare questo lavoro è importante e la maturazione necessita di tempo e fatica, tanta quanta quella di altri. Il percorso richiede anni di applicazione e la conduzione da parte di bravi maestri. Non è possibile continuare a postulare nel mondo attuale l’esistenza di figure che fanno un po’ questo e un po’ qualcos’altro, dato che chi fa bene solo questo mestiere ne ha abbastanza per occupare tutta una giornata.
E’ anche vero che non mancano criticità accanto agli ulteriori ampi margini di sviluppo.
Ci sono ancora difficoltà gestionali e organizzative, come per la presa in carico del paziente, che solo in poche strutture italiane viene gestita in autonomia dai neuroradiologi, a partire dalla fase ambulatoriale, dal ricovero, fino alla terapia, alla dimissione e ai successivi controlli.
E’ innegabile che la prepotente crescita dal 2015 delle terapie endovascolari per l’ictus ischemico, abbia messo in difficoltà il sistema neurovascolare. Tutti gli operatori delle reti tempo dipendenti hanno subito uno shock sotto il profilo organizzativo e strutturale. Tra questi certamente ci siamo noi neuroradiologi che abbiamo avuto difficoltà in termini numerici e di adeguati percorsi formativi.
Le nostre strutture sono entrate a far parte di una rete organizzativa tempo-dipendente che ha reso indispensabile reclutare nuovi interventisti in poco tempo per garantire operatività h 24. Abbiamo negli anni constatato che in alcuni casi la crescita non è avvenuta in modo equilibrato. Questo ha rafforzato in noi il principio che una unità neurovascolare interventistica per avere basi solide debba correttamente riassumere ed esprimere le giuste competenze in tutti gli ambiti diagnostici e terapeutici.
Non siamo però così ciechi da non aver visto come alcune difformità siano avvenute anche con la tacita e consapevole complicità di alcuni clinici. Nulla si è mosso verso quanto tutti, noi e voi, ci auspicavamo dovesse avvenire, ovvero la crescita della consapevolezza e dell’interesse comune per una concentrazione di competenze di alto livello e per la centralizzazione di patologie complesse, come aneurismi, malformazioni cerebrali e spinali, in strutture ad elevato volume, ove fossero presenti competenze adeguate e persistesse il ruolo fondamentale dei bravi maestri.
Occorre, in primis, essere convinti complici e agire nel rispetto dei criteri identificati dal DM 70, ci auguriamo migliorabili, opporsi ad atteggiamenti volti ad alimentare l’illusione, scriteriata, che chiunque possa trattare tutto dappertutto.
La valorizzazione dei professionisti, neuroradiologi o chirurghi, a mio avviso, passa proprio dal rispetto delle competenze, che ognuno deve svolgere al massimo livello e al massimo delle proprie capacità tecniche e culturali. Questo potrebbe essere un utile antidoto alla crisi del sistema sanitario, che trova tra le altre radici nelle scarse vocazioni chirurgiche, mestiere che richiede una dedizione totale e lunghi anni di formazione per un lavoro ad elevato rischio professionale, con difficoltosi percorsi di carriera e non adeguatamente remunerato. In questo non è diverso il mestiere del neuroradiologo interventista, in molte sue parti del tutto assimilabile a quello chirurgico.
Il rapido reclutamento di giovani operatori neurointerventisti, derivante dalle necessità del trattamento dello stroke ischemico, ha contribuito a diffondere l’illusione o la convinzione di potersi formare più velocemente e facilmente rispetto ad altri operatori e questo anche contro quanto indicato dai vecchi maestri. Ma così non è. I master formativi che si sono succeduti in questi anni sono stati un punto di partenza, volti ad avvicinare giovani medici a questa disciplina per poi farli crescere; non esistono scorciatoie formative e la patente si ottiene sul campo con anni di dedizione sotto la guida e il controllo di operatori esperti. Non smetteremo di pensare alla necessità di due componenti tra loro integrate e imprescindibili, formazione dedicata ed alti volumi.
Per tale motivo la mia convinzione, ampiamente condivisa tra gli interventisti, è che non si debba puntare all’illusoria promozione di “operatori ibridi”, poiché il percorso formativo e di esperienza necessario al raggiungimento dei necessari livelli di performance nelle rispettive discipline è troppo lungo e faticoso per poter essere portato avanti in modo efficace e sicuro su un doppio binario. Anche se alcuni tra i più grandi interventisti al mondo provengono dalla neurochirurgia, per usare bene il “catetere” è consuetudine aver lasciato completamente il “bisturi” ad altri. Piuttosto, promuoviamo “specialisti ibridi” che abbiano culturalmente le opportune conoscenze a 360° grazie al lavoro in gruppi multidisciplinari in cui convivano operatori distinti in grado di spingere le proprie competenze tecniche al massimo. Inoltre, noi pensiamo che non sia nell’interesse di nessuno promuovere eventi spot o avviare all’attività endovascolare improvvidi carneadi, che seguano non regolari percorsi formativi rischiando solo di inseguire inopportune e pericolose aspettative in termini di crescita e carriera. La UEMS ha già definito un percorso formativo condivisibile, non servono altre strade, serve trovare la giusta via per arrivarci.
Sandra Bracco