Caro Paolo,
nello spirito delle interviste AINR mischiamo un po’ sacro e profano, cercando di conoscerti meglio anche in alcuni aspetti privati oltre che professionali: Cominciamo?
– Partiamo dalla tua infanzia e da un evento del tutto eccezionale che suppongo abbia ancora una risonanza (scusa il gioco di parole!) fondamentale nei tuoi primi ricordi: il naufragio dell’Andrea Doria di cui tuo padre Bruno era ufficiale medico e fu uno degli eroi: che ricordo hai di quell’evento? Se ne parlava a casa, e come ti ha cambiato?
Diciamo che in casa mia se ne è parlato sempre molto poco, non so in realtà perché… probabilmente a causa del grosso shock che quell’evento creò in mio padre. All’epoca io avevo 5 anni e probabilmente i miei ne parlarono a lungo in quel periodo, ma io non ho ricordi. Successivamente probabilmente il ricordo negli anni un po’ sfumò, diventando un argomento di cui parlare sempre di meno. Ho visto comunque alcune trasmissioni televisive dove mio padre fu invitato a parlare sull’argomento, e ho letto alcuni libri sulla tragedia in cui si parlava di mio padre, all’epoca direttore sanitario della nave.
Mi sarebbe piaciuto molto sapere cosa avrebbe pensato mio padre del comportamento del comandante Schettino, quando lui invece lasciò l’Andrea Doria oramai “morente” con l’ultima scialuppa, trascinando, insieme ad altri ufficiali, il comandante Calamai che non voleva abbandonare la nave…
– So che hai frequentato il famoso Collegio Navale Morosini a Venezia: ma eri veramente così discolo o l’idea della carriera militare ti aveva entusiasmato?
No, in realtà ero stato rimandato di tre materie in seconda Liceo Scientifico e mio padre decise di mandarmi al Morosini e all’epoca non si poteva tanto discutere con i genitori… Non sono mai stato un adolescente problematico. Perché il Morosini non saprei, non mi ricordo particolari spiegazioni da parte dei miei genitori. Nel tempo sono arrivato alla conclusione che fosse una decisione più gratificante per loro l’inviarmi in un collegio di élite, piuttosto che una punizione per me!
– Hai poi scelto Medicina e il tuo primo amore mi pare sia stata la Neurochirurgia, hai anche frequentato per un anno la scuola di specializzazione. Cosa ti ha fatto cambiare idea e virare sulla Neuroradiologia?
In parte fu una scelta di comodo e in parte anche ragionata. Mi spiego: già all’epoca era difficile trovare un posto a tempo indeterminato, soprattutto in Neurochirurgia dove avrei dovuto comunque aspettare la fine della specializzazione, mentre la Neuroradiologia era una materia agli albori ( si parla degli anni ’77, ’78 e ’79…) e in forte sviluppo, come poi è stato dimostrato dall’avvento della TC e successivamente della RM. Inoltre, mi era stato proposto un posto di assistente a tempo indeterminato, che poi è arrivato nell’arco di qualche mese mettendomi in condizione di iniziare la mia carriera già a 24 anni (e non è poco!). C’è da dire che all’epoca pensai anche che sicuramente la carriera di Neuroradiologo sarebbe stata meno stressante e logorante.
– Chi sono state le persone che più hanno inciso nell’aiutarti a trovare la tua strada professionale? Chi è stato il tuo Maestro, o ce n’è stato più di uno?
Diciamo che il mio Maestro è stato il Prof. Rosa, ma molti della vecchia generazione sono stati in un certo senso miei maestri che, anche se indirettamente, hanno contribuito a rafforzare la mia scelta e il mio già grande entusiasmo; ricordo in particolare, tra gli altri, Pepe Scotti e Marco Leonardi. Senza considerare che sono cresciuto nell’ambito di una generazione di Neuroradiologi che condividevano con me il grande entusiasmo per la nostra materia, con i quali sono diventato amico e dei quali non mi dimenticherò mai anche se oramai sono fuori dall’attività scientifica da molti anni. Il mio pensiero va in particolare a Sossio Cirillo, Mino Andreula, Massimo Gallucci, Giancarlo Dal Pozzo, Fabio Triulzi, Federico Zappoli Thyrion, Andrea Falini, Nadia Colombo, con i quali ho condiviso anni di discussioni scientifiche ma anche di divertimento. Con tutti comunque devo dire che ho avuto un rapporto straordinario di simpatia e stima reciproca che mi accompagnerà negli anni.
– Il tuo nome è indissolubilmente legato alla Neuroradiologia Pediatrica ma la tua storia proviene dal mondo dell’adulto dove hai lavorato per 15 anni prima di trasferirti al Gaslini. Cosa ti ha fatto appassionare al mondo del bambino?
Così come per la domanda N°3 la mia scelta è dipesa da una duplice motivazione. Intravvedevo, all’epoca in cui il Prof. Rosa mi fece la proposta (fine anni ’80) di andare al Gaslini sotto la richiesta dell’allora “illuminato” primario Neurochirurgo Dr. Andreussi che aveva bisogno di un interlocutore, la possibilità di affrancarmi dal punto di vista gestionale. Senza considerare il miraggio di un primariato in una materia nella quale in Italia all’epoca ne esisteva, mi pare, uno solo, quello del Santobono di Napoli. Cominciai quindi la mia avventura frequentando al pomeriggio le sessioni di discussione casi che si tenevano in Neurochirurgia al Gaslini tre volte la settimana. Fu subito curiosità infinita per casi che, venendo da un ospedale per adulti, non avevo mai visto e successivamente amore per questa disciplina sulla quale ho costruito la mia carriera. Da quel momento è stato un susseguirsi di eventi, molti dei quali hanno fatto un po’ la storia della Neuroradiologia Pediatrica italiana della quale penso, probabilmente a ragione, di essere uno dei fondatori. Ho impiegato 15 anni di fatica, e me ne è testimone Andrea Rossi con il quale ho condiviso gioie e dolori, sconfitte ma anche grandi successi, e con l’aiuto del quale ho creato il secondo Servizio di Neuroradiologia pediatrica italiana trasformandolo da una piccola sezione di un Servizio di Radiologia al reparto, condotto ora da Andrea, che è adesso , riconosciuto in sede internazionale e dove molti giovani vengono da tutto il mondo per imparare questa disciplina. Posso senza tema di smentita affermare di essere molto orgoglioso di tutto questo!
– Tu non hai mai abbandonato del tutto la neuroradiologia dell’adulto, continuando ad occupartene in ambito privato e ritornandovi nell’ultima fase della tua carriera professionale. E’ più facile refertare una Risonanza di un adulto o di un bambino?
Tutto può sembrare facile quando si hanno solide basi di conoscenza che ti consentono l’interpretazione degli esami che eseguiamo. In realtà niente di tutto quello che facciamo è facile. Sicuramente la patologia del bambino è più complessa perche abbraccia fasce di età differenti e un innumerevole spettro di patologie pressoché assenti nell’adulto, due per tutte le malformazioni e la patologia metabolica. Non esiste inoltre il bambino in senso lato, ma esiste il feto, il neonato, il bambino nel primo anno di vita etc. Ognuna di queste fasce ha le sue peculiarità che richiedono la conoscenza di innumerevoli quadri fisiologici e patologici. L’adulto sicuramente è più … concedetemi , standard. Quante volte al Gaslini mi sono ritrovato di fronte a casi che avevo difficoltà persino a catalogare nell’ambito di un gruppo di malattie… direi quasi settimanalmente, mentre nell’adulto questo succede più raramente. La conoscenza della patologia pediatrica tuttavia ha contribuito ad ampliare molto la mia cultura e mi ha facilitato molto nel comprendere quella dell’adulto.
– Tennis, golf o windsurf?
Sicuramente negli ultimi anni, per motivi anche legati all’anagrafe, mi sono perdutamente “innamorato “ del golf che pratico tutti i weekend e in vacanza. La mia grande passione per il windsurf è oramai tramontata da anni, mentre continuo a giocare sporadicamente anche a tennis per cercare di mantenere una forma che oramai non è più tale…
– Tu hai sempre insistito molto sulla necessità di aprirsi al confronto in ambito internazionale, e hai perseguito con tenacia l’obiettivo di mettere la Neuroradiologia del Gaslini “sulla mappa”, di renderla riconoscibile e autorevole. E’ valsa la pena viaggiare così tanto e fare le ore piccole a scrivere articoli e libri?
Assolutamente sì, basterebbe vedere come è ora il “mio” reparto e cosa rappresenta sulla scena internazionale. Solo ora mi rendo conto di tutto quello che ho fatto… Il mio orgoglio è anche quello di aver “creato” un allievo come Andrea Rossi. Il coronamento della mia carriera è arrivato invece quasi dieci anni dopo aver lasciato il primariato quando, del tutto inaspettatamente, sono stato insignito a Washington, da parte della Società Americana di Neuroradiologia Pediatrica, della Medaglia d’Oro alla carriera , premio che la Società Americana difficilmente riconosce ad uno straniero.
– In un Paese dove ancora manca il riconoscimento formale di un titolo di studio in Neuroradiologia, perché un giovane dovrebbe dedicarsi a una disciplina come la nostra, quando tutto sommato le opportunità di lavoro e di carriera rimangono scarse se poste a confronto con la Radiologia generale?
Questa è la domanda a cui ho avuto più difficoltà a rispondere. Onestamente non saprei che dire… io sono approdato per caso a questa materia che tuttavia mi ha subito coinvolto emotivamente. Non so se in una situazione differente avrei fatto una scelta mirata a questa disciplina. Sicuramente per quanto mi concerne la Neuroradiologia è per me più affascinante della Radiologia Generale, ma questa è solo una questione personale e di interessi culturali. Certo, la Radiologia generale offre di più in termini di impiego e di carriera. Nel privato invece si equivalgono, anche perché quelli che hanno un maggior ritorno economico sono coloro i quali si occupano di Risonanza. Comunque ritengo totalmente sbagliato per un giovane scegliere il privato in prima battuta: l’esperienza e la formazione ospedaliera o universitaria devono essere sempre la prima scelta. Solo dopo molti anni di esperienza si può pensare di dedicarsi alla libera professione. Io sono stato più fortunato perché ho vissuto un’epoca nella quale si potevano fare contemporaneamente le due cose.
– Hai deciso di lasciare il servizio pubblico ancora giovane per dedicarti a tempo pieno all’attività in ambito privato. Rimpianti?
No, non ho alcun rimpianto. E’ stata una decisione molto sofferta, ma credo giusta. Scegliere di rimanere in ospedale avrebbe significato buttare via tutti gli sforzi che avevo fatto per oltre trent’anni per costruirmi una libera professione che comunque ha inciso molto sulla mia vita privata e di cui vado anche in questo caso molto orgoglioso, essendo diventato un punto di riferimento per la Neuroradiologia sul mio territorio. Certo, il lavoro al Gaslini era sicuramente più affascinante e gratificante dal punto di vista professionale, ma era diventato estremamente faticoso in termini di impegno mentale, di responsabilità e non ultimo di aggiornamento, e il mio carattere non mi consentiva di rimanere indietro culturalmente rispetto ai più giovani. Penso quindi di aver fatto la cosa giusta!